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Fedeltà

“A chi dobbiamo la fedeltà? Agli altri o a noi stessi?”. Questa è la domanda – retorica solo in apparenza, perno dell’intera trama – che il professor Carlo Pentecoste, protagonista della serie Netflix Fedeltà (regia di Andrea Molaioli e Stefano Cipani), pone ai suoi studenti nel corso del primo episodio.


La serie è tratta dall’omonimo romanzo del riminese Marco Missiroli (vincitore del Premio Strega) e mette in scena il progressivo sgretolarsi di una coppia, composta dai quasi quarantenni Carlo Pentecoste e Margherita Verna, a causa dell’infatuazione di lui per la studentessa Sofia. Sullo sfondo, Milano.


Fedeltà ha gli strumenti per piacere a tutti: a quelli che hanno letto e a quelli che non hanno letto, a coloro a cui è oppure non è piaciuto il libro. Tra i pregi della serie, vi è in primis il ritmo incalzante con cui vengono scandagliati alcuni dei grandi temi introspettivi oggetto del romanzo (che sconta, necessariamente, un ritmo narrativo più lento): apparenza, desiderio e trasformazione.


L’apparente perfezione, invidiata dagli amici, del matrimonio tra Carlo e Margherita. Quel desiderio sfrontato e magnifico (citando il divertente cameo dello scrittore riminese in uno degli episodi) che guiderà Carlo e Margherita – come singoli individui, aldilà della coppia – nell’esplorazione di nuove strade. La trasformazione derivante dall’assecondare il desiderio: l’uscita dallo schema prestabilito renderà Carlo e Margherita due esseri umani parzialmente diversi rispetto a quelli presentati all’inizio della serie (e del libro).


Ci sono poi le scelte estetiche, a partire dalla resa scenica di Milano, visivamente corrispondente a quella dipinta – va detto, magnificamente – in forma scritta da Missiroli: il miscuglio tra quella vecchia delle sciure, quella dimessa che non ostenta e quella dei grattacieli di City Life, dei locali posh del centro, della trasgressione (avrebbe forse potuto essere ambientata in un’altra città, questa storia?).


Una considerazione a parte meritano la scelta degli interpreti – ovvero Michele Riondino e Lucrezia Guidone – dei due protagonisti e della musica. La recitazione di entrambi è teatrale, a tratti quasi esasperata, magnetica. Una scelta che ben traspone la struttura dei personaggi del romanzo – che, per certi versi, hanno volutamente i tratti del cliché le cui emozioni, pulsioni ed i cui sentimenti dominano le pagine del libro, lasciando uno spazio residuale agli altri personaggi (salvo lo spazio importante dedicato a Sofia).


Insomma, la storia d’amore narrata in Fedeltà – seppur calata nella contemporaneità in cui vivono i protagonisti – induce a interrogarsi su temi che trascendono il tempo (ed ai quali nessuno di noi può dirsi estraneo). Ed è così che la colonna sonora della serie oscilla tra la musica elettronica degli Shaed remixati da Jauz, passando per il pop di Lewis Capaldi fino al romantico Valse sentimentale Op. 51, n. 6 di Tchaikovsky.


Fidatevi: una volta conosciuti Carlo Pentecoste e Margherita Verna sarà impossibile dimenticarsi di loro.



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