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Mediterraneo, un Oscar che ci insegna a fuggire e a restare

“In tempi come questi la fuga è l'unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare”- Henri Laborit.


Citazione particolarmente adatta al periodo quella che appare in apertura di Mediterraneo, film del 1991, diretto da Gabriele Salvatores. Mediterraneo (trasmesso qualche sera fa sul canale Iris) è uno di quei film che – seppur “leggeri” – più li vedi, più noti nuovi significati nella scenografia, nei dialoghi, nelle interpretazioni degli attori.


La storia è quella di un gruppo di militari italiani inviati - sotto la guida del tenente Montini, nel 1941 - a occupare un’isola sperduta dell’Egeo, priva di rilevanza strategica e già saccheggiata dai tedeschi. Un gruppo di superstiti di battaglie perdute così come li definisce Montini, caratteri lontani dallo stereotipo del soldato modello. Il Tenente Montini (Claudio Bigagli), professore di lettere antiche al ginnasio con la passione per la poesia e la storia dell’arte. I due spensierati fratelli Alpini Libero e Felice Munaron (Memo Dini e Vasco Mirandola). Il sensibilissimo Antonio Farina (Giuseppe Cederna), che non aveva mai fatto l’amore. L’operatore radio Colasanti (Ugo Conti). Il maestro di sci Eliseo Strazzabosco (Gigio Alberti), inseparabile dalla sua mula Silvana. Il disertore in pectore Corrado Noventa (Claudio Bisio), ossessionato dal pensiero della moglie in Italia. E infine lui, il Sergente maggiore Nicola Lorusso (Diego Abatantuono), un po’ istrione, un po’ ardente patriota.


Gli otto restano senza nave e senza radio, letteralmente isolati. Mentre sulla terraferma si sfidano gli eserciti della Seconda guerra mondiale determinando le sorti del mondo, a Meghisti non capita mai nulla. Nessuno, dall’amata patria, arriva a soccorrerli. L’angoscia dell’oblio: “ci hanno abbandonati qui”.


Ecco che Meghisti si svela, gradualmente, ai soldati: piacere e spiritualità. Le case bianchissime sotto il sole e il verde degli ulivi fitti, il cibo, le partite a calcio sulla spiaggia come in tempo di pace, gli intrattenimenti della prostituta Vassilissa, i discorsi in chiesa – sotto lo sguardo delle icone ortodosse – con l’amichevole pope locale. Questo da un lato, Hitler e Mussolini dall’altro; in mezzo, le acque cristalline del Mediterraneo. L’Italia sempre più lontana, come le parole dell’Inno di Mameli intonate dal gruppo, ma disperse dal vento tra i rami degli alberi.


Così, passano tre anni. Non che se ne fossero accorti, loro. E’ il tenente La Rosa, pilota siciliano in atterraggio di emergenza sull’isola, ad aggiornarli sui fatti accaduti dal loro arrivo a Meghisti. “C’è stato l’8 settembre! Quelli che erano amici son diventati nemici e quelli che erano nemici son diventati amici. Ci sono un sacco di possibilità, un sacco di cose da fare”. L’entusiasmo di La Rosa, tuttavia, non sembra toccare il gruppo; non è un entusiasmo comprensibile, ormai. La Rosa ripartirà con il proprio aereo dopo poco, segnalando al comando la presenza degli otto sull’isola.


E’ meglio stare qui o in mezzo alla battaglia? si chiede Lorusso. Se cerchi delle origini, qui le puoi trovare, discendiamo tutti da qui, spiega Montini riferendosi alla civiltà greca. Una domanda e una affermazione che trascendono la realtà nelle quali sono pronunciate. I soldati hanno scoperto che stare lontani dal campo di battaglia non è poi così male e quella che, inizialmente, era sembrata l’unica soluzione possibile – accettare l’isolamento nel mezzo dell’Egeo e adattarsi alla vita dei locali – si è tradotta in una scelta di vita: lontani dai conflitti, dall’occhio del ciclone, dal dinamismo ad ogni costo del Continente. I soldati hanno affondato le loro radici a Meghisti e qui hanno costruito la loro felice dimensione esistenziale, allontanandosi dal tempo e dallo spazio (che sia questa la ricetta?).


Questi soldati molto semplici lanciano allo spettatore messaggi profondi, aldilà del “non tutto il male vien per nuocere” che si potrebbe trarre da una visione superficiale del film. Ciò che noi riteniamo meglio per noi, non necessariamente corrisponde a ciò che è meglio per noi; mettere in dubbio le nostre convinzioni più profonde - anche spinti da circostanze esterne, com’è stato per gli otto rimasti senza nave e senza radio - è il primo passo da gigante. Certo, per alcuni è più semplice, per altri impossibile. Noventa, l’unico a rimanere ossessionato dal ritorno in Italia, sembra uscire di scena pagando un caro prezzo per il suo immobilismo interiore; colpevole, citando le parole messe in bocca a Lorusso, di non saper aspettare, non sentire il profumo.


A proposito di esiti inaspettati: Farina sceglierà di rimanere a Meghisti, dopo averci trovato l’amore (fisico e non solo). A voi indovinare quali personaggi vi faranno ritorno – ormai anziani – tanti anni dopo la fine della guerra.


“Dedicato a tutti quelli che stanno scappando” è la frase che compare prima dei titoli di coda di Mediterraneo. La mia personale dedica è per tutti quelli che, nel luogo della fuga, hanno inaspettatamente (ri)trovato le proprie radici.


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