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  • Immagine del redattoreLa cronista

Quel piccolo capolavoro di Sex and the City

Perché le sei stagioni di Sex and the City, andate in onda dal 1998 al 2004 e tratte dal romanzo di Candace Bushnell, sono un capolavoro che abbatte ogni barriera spazio temporale? Perché SATC è un affresco – privo di censure politicamente corrette – del peggio e del meglio di ciò che la vita (nella sfera sentimentale, sessuale, lavorativa, delle amicizie) può elargire ad una donna che si aggiri intorno alla soglia psicologica dei trent’anni. Non solo: dati anagrafici a parte, definirei SATC una piccola enciclopedia esistenziale.


Di seguito, qualche idea scaturita dalla re-visione dell’intera serie.


1) Un’amicizia che non è sempre rose e fiori


Numerosi sono i momenti in cui si creano tensioni – che talvolta sfociano in veri e propri scontri - tra le quattro amiche.


È il caso in cui il gruppo toglie ufficialmente ogni sostegno morale a Carrie nella sua relazione - ormai tossica - con Mr. Big. “Sei ossessionata da Big, basta parlare di lui!”, “Non ho più intenzione di essere la spalla su cui piangere quando lui, per l’ennesima volta, ti farà del male”. È il caso in cui Miranda viene accusata da Carrie di essere talmente “giudicante” da rendere impossibile lo svolgimento di un dialogo costruttivo. È il caso in cui Charlotte - in un momento di forte sofferenza dovuto alla propria situazione sentimentale - arriva quasi a dare della poco di buono a Samantha.


Le amicizie con la a maiuscola sono lunghe linee, mai interrotte, ma a tratti frastagliate.


2) La dura legge dei ruoli ribaltati: “and to them, she had become…Samantha


Charlotte e Samantha, la gallerista bon ton e la spregiudicata PR, due ruoli prototipo agli antipodi. L’una perennemente in cerca del principe azzurro, l’altra tanto libertina da rifuggire qualsiasi legame sentimentale.


Charlotte trova marito, ma il matrimonio é destinato a finire a causa della irrimediabilmente insoddisfacente vita sessuale della coppia. Charlotte è talmente frustrata da non riuscire più a ridere dei racconti piccanti di Samantha. “Why do you always have to talk about sex like that? You're such a...” sbotta Charlotte durante un pranzo, abbandonando le amiche al ristorante e cercando rifugio nel vecchio gruppo di amiche alto borghesi del liceo. Queste – ancora più snob e bon ton di lei - giudicano tuttavia volgari e inadeguate le lamentele di Charlotte sulla vita sessuale con il marito, facendola sentire fuori luogo. Ed è così che Charlotte – commenta la voce narrante - si “trasformò” in Samantha davanti alle sue amiche del liceo.


É altamente sconsigliato auto attribuirsi un ruolo (in qualsiasi sfera della vita) o accettare etichette imposte dall’esterno: da un momento all’altro, ci si può trovare catapultati dall’altro della barricata.


3) Quel successo un po’ fastidioso: “i want to enjoy my success, not apologize for it”


La rubrica di Carrie è ormai un must per i new yorkesi ed il suo libro vende moltissime copie, al di qua e al di là dell’oceano. Al contrario, il libro di Jack Berger – suo fidanzato (per qualche puntata) - è pressoché sconosciuto. Berger fatica ad accettare il successo professionale della fidanzata e - geloso di questo successo - finirà per assumere verso Carrie atteggiamenti passivo-aggressivi che contribuiranno in maniera netta alla fine della relazione.


Uomini che faticano ad accettare la sfolgorante carriera di una donna o che, in modo più o meno velato, da questo successo si sentono minacciati. SATC andava in onda più di vent’anni fa, ma la realtà contemporanea non è poi così diversa.


Non resta che seguire il consiglio della nostra Miranda: non esibiamo, né sottostimiamo il nostro successo! Semplicemente, godiamocelo!


4) Saper mollare la corda: “i love you too Richard, but I love me more


Richard è l’unico uomo che, prima di Smith, riesce a “incastrare” l’audace e libera Samantha in una relazione sentimentale. Affermato imprenditore ed amante del lusso nonché delle belle donne, Richard è però un traditore seriale; questa circostanza renderà Samantha gelosa, ossessiva e estremamente insicura sulla tenuta del rapporto. Insomma, la relazione con Richard finirà per snaturare la personalità della nostra Samantha.


“Ti amo, ma amo di più me stessa” è l’iconica frase con la quale Samantha lascia Richards. È così semplice, ma tendiamo a dimenticarcelo: la relazione che ci snatura non è amore. In questi casi, citando Carrie, l’unica soluzione è togliere la scommessa più alta – ovvero il nostro cuore – dal tavolo da gioco.


5) Completi anche senza l’altra metà della mela


“I believe that there’s that one perfect person out there to complete you” sostiene Charlotte. “And if you don’t find him, what? You’re incomplete? It’s so dangerous!” risponde Miranda.


Siamo “completi” - per quanto il contesto tenda spesso a identificare nella coppia la massima forma di realizzazione personale - quando siamo complessivamente soddisfatti di noi stessi. Ciò, a prescindere dall’esistenza o meno di qualcuno al nostro fianco. L’anima gemella – o le anime gemelle, nella versione pluralista – non completano la nostra vita, la migliorano.


6) Il personalissimo rapporto con la città


“If Louis was right, and you only get one great love, New York may just be mine” afferma Carrie.


A volte, per “riempirci”, è sufficiente passeggiare nel nostro quartiere o in quell’altro che ci piace tanto ma viverci no, entrare nel parco, costeggiare quel naviglio un po’ periferico ma così poetico. Durante il giorno, di sera, la notte. Se togliamo amici, famigliari e partner, restiamo noi e la città. La città e noi. Una relazione intensa, complessa. Se le fermate della metro, gli angoli delle strade e i muri dei nostri locali preferiti potessero parlare...


***

L’elenco potrebbe proseguire. L’ironia - che non diventa mai rancore - con la quale SATC racconta di certe innegabili differenze tra uomo e donna nel vivere le relazioni, della difficoltà a costruire rapporti profondi in una società dominata dalla costante percezione di poter trovare di meglio rispetto a ciò che si ha oppure della disillusione che coglie chi, a seguito di vari tentativi incompiuti, questa anima gemella (usando il lessico di Charlotte) sembra proprio non incontrarla.


Dedico però le ultime righe di questa riflessione a quello che resta, per me, il maggiore punto interrogativo della serie: la relazione tra Carrie e Mr. Big. Punto interrogativo perché ciò che lega Carrie a Big sembrerebbe essere, più che una reale condivisione di sentimenti e prospettive, la dipendenza emotiva di lei dal carattere sfuggente di lui (“the exquisite pain of wanting someone so unattainable”). Ripensandoci, il significato migliore di questo rapporto potrebbe essere racchiuso in quel “take me home” che Carrie – dopo aver lasciato il narcisissimo Petrovsky – rivolge a Big, volato a Parigi per riportarla a New York.


Essere “riportati a casa”, nel luogo figurato in cui possiamo essere noi stessi nel bene e nel male, nonostante la valanga di distrazioni e tentazioni dalla quale siamo quotidianamente travolti. Forse è questo, sembrerebbe suggerirci Carrie, che dovremmo chiedere all’amore.

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