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  • Immagine del redattoreLa cronista

Cara, ti scrivo

Spero che, scrivendoti, ti ricorderai di me. All’inizio della nostra conoscenza mi sei sembrata “solo” una signora particolarmente curata, dall’apparenza algida e irreprensibile, ma con parecchi segreti e vizi. Non è stato facile, credimi, avvicinarmi al tuo cuore. Essenzialmente questo mi hai insegnato: saltare l’ostacolo, avvicinarmi – con un briciolo di adulta incoscienza – a terre inesplorate, dove mi sembrava nulla potesse crescere.


Ammetto però (so che non ti offenderai, per te è anzi un vanto) che molti degli stereotipi sul tuo conto non sono soltanto stereotipi. Ami ricordare alle persone che il tempo sarà sempre più veloce di loro, ma – a fronte di questa circostanza – non ti limiti ad una presa d’atto: chiedi sempre di più e, a noi illusi che tentiamo di conformarci al tuo passo, sembra di non darti mai abbastanza. Questo proprio, di te, non mi mancherà.


Metti alla prova. Mi hai inizialmente fatta sentire sola e minuscola in mezzo ad una moltitudine di giganti punti interrogativi; dopo poco tempo, tuttavia, hai riempito la mia vita fino a quasi farla debordare. Ad oggi, ancora non mi è chiaro come e quando, precisamente, tu abbia compiuto questa magia bianca.


I punti interrogativi, dicevo, si sono gradualmente dissolti. Dietro c’erano i tuoi quartieri pettinati difficilmente scardinabili dalla superficie, quelli un tempo considerati di campagna, anime irrequiete, cercatori di felicità e successo senza tregua, le tue montagne ed i tuoi laghi. Incontri destinati a lasciare impronte permanenti oppure tracce caduche. Ancora più in là, il nostro cuore. La mia isola. Persone straordinarie entrate a far parte delle mie fondamenta.


E poi, Turro. Che stranezza, per i miei occhi abituati alle bomboniere di provincia, questo quartiere – affacciato sul caos di Viale Monza – perfetto amalgama di nord, sud, Europa ed altri continenti. Un po’ di architettura trasandata in stile anni Settanta, gli angoli Liberty, le ville ottocentesche della ex periferia, ingrigite dal tempo oppure perfettamente ristrutturate. I locali di NoLo con quell’atmosfera paesana, i fili di lucine attorcigliati sui rami degli alberi nelle caldissime serate estive, la Martesana e le sue nutrie.


Correre tra le foglie rosso vivo della Martesana d’autunno, bardata fino alla testa nella sua nebbia invernale, la prima corsa post-Covid sotto i suoi ciliegi fioriti in primavera (con l'acqua che pareva quasi limpida) e poi l’estate, le persone sdraiate nel parco, la corsa che toglie il fiato. Certi tramonti con riflessi da quadro.


I miei “Patronus” resteranno fisicamente qui, ma si sa che quelle sono presenze eterne. Ulisse proverà, invece, a fondare un’altra Itaca.


Ricordati di me.


A Milano: quattro anni fa, ora, sempre.




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