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L’Isola dell’abbandono

È possibile tradire la propria autonarrazione esistenziale? L’Isola dell’abbandono non ha certo l’ambizione di fornirci una risposta. Premesso ciò, è difficile non empatizzare con Arianna - illustratrice di fumetti per bambini - rappresentata nel fulcro di una battaglia: scardinare, pezzo per prezzo, il suo personalissimo “mito” dell’abbandono.


La storia del personaggio creato dalla Gamberale ricorda infatti, nei tratti più spietati, quella dell’Arianna innamorata di Teseo: la mitologia racconta che quest’ultimo abbandono’ Arianna sull’isola di Naxos, proprio dopo essere stato aiutato dalla ragazza a uscire dal labirinto del Minotauro.


L’Arianna dei nostri giorni va però oltre. La protagonista si interroga - lungo il decennio che dai trenta la porta ai quarant’anni - su quanto il suo sia un destino effettivamente inesorabile e su quanto sia autoinflitto, su quanto esso sia connesso alla “dipendenza dal vuoto” (perché il vuoto, come provocatoriamente rilevato da uno dei personaggi, può essere una comfort zone assai meno insidiosa di un accumulo di presenze, per quanto amate).


Attraverso l’esplorazione del dubbio - uno dei profili più interessanti del libro - la protagonista definisce la propria identità. La personalità di Arianna viene gradualmente composta dall’autrice, attraverso le interazione con gli altri personaggi, e non è percettibile se non alla fine del romanzo.


L’Isola dell’abbandono resta impresso per il modo delicato con il quale racconta uno struggente tentativo di evoluzione interiore, uno slancio strenuo per trovare il filo e uscire dal labirinto.



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